Non mi ritengo un esperto di bruttezze su pellicola, ma sono sicuro di aver toccato il fondo della cinematografia universale avendo ampiamente esplorato la vasta filmografia di Arduino Sacco, uno dei registi più controversi del cinema italiano.
Controverso perché Sacco se ne infischiava totalmente di un qualsivoglia linguaggio cinematografico, realizzando lungometraggi imbastiti da porcherie immonde, montaggio fin troppo sperimentale e sproloqui velleitariamente filosofici…filosofia da biglietto dei baci Perugina!
Parlare di lui e dell’enorme quantità di cose fatte nell’arco della sua attività prenderebbe troppo tempo e pertanto oggi basterà spendere qualche parola su IL CAPRICCIO DI PAOLA, il peggior risultato del regista anconetano e ora si vedrà il perché.
Il Capriccio di Paola è un film desolante, quasi mistico, proclamante di un sesso gioioso e perverso ma in realtà emanante di depressione e malinconia.
Commentato per 3/4 della durata da un brano di indefinibile genere, acid pop sperimentale, con tastiere impazzite e sonorità quasi etnico-orientali.
La trama racconta del perverso Piero Pieri nei panni di uno scrittore nel bel mezzo della composizione di un romanzo erotico. Questo elemento farà si che i personaggi “prendano vita” e assisteremo quindi a varie scenette slegate tra loro che comporranno la storia del libro. Le scene sono memorabili per la totale assenza di un qualsivoglia erotismo, attrici che sono un insulto alla bellezza (altra caratteristica dei film sacchiani), fotografia con scarsa luce ed una MDP sfocata.
Si sa, Sacco amava inserire scene di sesso estremo e qui si va “a cavallo” (quasi come il tema del film). Rimarrà impressa nell’immaginario collettivo la celebre scena nella stalla, dove l’equino (ovviamente contro la sua volontà) viene masturbato dalla costretta Carlotta (che lancia spesso sguardi scocciati e rassegnati alla telecamera). Al cavallo però non piacciono le gesta e preso da una furia di rabbia incomincia a calciare con lo zoccolo ed ecco che la poveretta indietreggia in tempo senza ricevere lo zoccolo in faccia e a Sacco, spaventato, cade la telecamera e la scena si interrompe improvvisamente.
Ma ci sono anche altre scene degne di memoria. Per esempio, dopo la scena del cavallo, vediamo Pieri seduto su un divano, rivolgersi agli spettatori sproloquiando parole inutili e chiamare a sé Carlotta. La giovane arriva e trova su un tavolo un fallo di gomma che Pieri, con una faccia da Fantozzi eccitato e un linguaggio da maniaco, incita a inserire dentro di sé….ma finisce il primo tempo e i primissimi fotogrammi del secondo tempo non sono dei migliori : Carlotta sta eseguendo un fellatio a due giovincelli e totalmente a caso uno dei due estrae una pistola e spara verso le parti intime della ragazza che, con un sonoro spostato e una recitazione degna di un film Dudy Steel, continua a masturbarsi con del liquido rosso che dovrebbe simulare del sangue, come se non fosse successo niente.
Durante la visione lo spettatore ha più l’impressione di trovarsi davanti ad uno scherzo, ad una burlata fatta tra amici che a guardare un film di formato e messa industriale. Pensare che infatti questo guazzabuglio sia stato stampato in 15 copie e distribuito a livello nazionale, ottenendo anche un discreto successo (come dimostrano le stampe locali dell’epoca) è a dir poco allucinante.
La scena finale è tutta per Denise Dior (alias di Paola De Simone, da cui il titolo). Con uno stacco di montaggio piuttosto grezzo, si ritorna come location nella stalla della scena precedentemente citata. Paola prende il membro del cavallo e la scena è ancor peggio di quella passata, poiché l’animale è qui visibilmente nervoso, non permette atti sessuali e pertanto la durata è molto più breve.
Infine per concludere alla “CAZZO DI CANE” (proverbio amato da Sacco che riflette 3/4 dei finali delle pellicole della filmografia sacchiana) vediamo Cecilia entrare in una stanza e buttare nel fuoco del camino le pagine del manoscritto, sentendo la voce di Pieri e degli altri personaggi blaterare “…e io bruciavo con quelle pagine” come per simboleggiare la fine di tutto. Finale piuttosto incoerente : quindi anche Pieri faceva parte del romanzo ?!
A discapito di quel che si legge in giro, il film è composto da materiale inutilizzato e scene girate contemporaneamente a MORBIDA MARINA E LA SUA BESTIA (1984) [con questo film la pellicola condivide anche alcuni “fegatelli” inseriti come raccordo narrativo]. Si ha infatti lo stesso cast con lo stesso look, medesime location e troupe.
Degna di memoria è anche la distribuzione della pellicola, dall’iter piuttosto travagliato. Finito di esser montato nell’aprile del 1985, Sacco preferisce eludere la censura facendo circolare il film senza visto. Poi nel 1988 riappare in pochissime sale un’edizione dal titolo POSSIEDIMI LANGUIDAMENTE anch’essa con visto contraffatto. Nello stesso anno sbarcherà incredibilmente anche in Giappone, con incorporate ulteriori scene animal con cani, fortunatamente amputate nell’edizione italiana. Le edizioni home video sono ancor peggio : la principale, sotto label VIDEO X, amputa i titoli di testa lasciando solamente la schermata con il titolo. La seconda si avvale del visto di un film francese ,Christine, rilasciato nel 1981 e sostituisce gli originali titoli di testa con quelli del film transalpino. Quest’edizione , approntata da ignoti nel 1989, ha il titolo di “Krista”
In conclusione, lascio alcune foto, tra cui quella di un visto censura del film contraffatto (da me ritrovato in un archivio di un cinema a luci rosse bolognese) riferito alla seconda edizione del film (il numero del nullaosta si riferisce impropriamente a quello di un film di Gaburro).