ero non so perché prevenutissimo su questo dittico, forse la testa troppo inquinata da alcune convincenti stroncature snobish intercettate in rete; l’ho tenuto nella panchina contrassegnata “in mancanza d’altro” fino a qualche mese fa, dovendomi come sempre in questi casi sputare in faccia perché si è rivelato in ambedue le parti un’ottima sorpresa. sia perché riprende e rinnova il tema del suicidio assurto a catena di sant’antonio o contagioso agente patogeno (in una sintesi superiore di macchie solari, der todesking e i sottovalutatissimi cure, hypnosis - quello di ochiai, non di martin - e wristcutters), sia perché ne fa una sorta di maledizione barkeriana con vittima designata miscreduta da tutti tanto più viene perseguitata e affondata (come non ricondurre la memoria a candyman? il co-protagonista del primo sorriso sofficino si chiamava pure trevor!).
di questo secondo lascia a fiato mozzato il pianosequenziato superincipit che per un quarto d’ora circa illude su un’interessante virata vigilantesca senza stacchi della viralità suicida, che purtroppo sterza presto a favore dell’asse a star is born - climax - starry eyes. per nostra fortuna mai sovradeterminato: sottotesto minimo, propulsione narrativa e onda splatter al massimo, con almeno 4 scene chiave meritevoli di ola: la presentazione dell’ospite d’onore, lo stage diving col botto, la visita ospedaliera di mammina cara e un finale non meno iperbolico di quello di substance (la fargeat ha senz’altro preso appunti). finn ci sa così straordinariamente fare che a me non spiacerebbe un eventuale terzo capitolo, ma anche son curioso come una scimmia di vedere che combinerà con diverse coordinate narrative.